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Festival Cinema Venezia 2009: recensioni film, interviste

 
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Tom Ford regista al debutto

di Marta Cagnola

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Tom Ford (LaPresse)

Lo stilista è in concorso con «A singol man», tratto dal romanzo di Christopher Isherwood

Il debutto più atteso è quello di Tom Ford. Venezia aveva già dato spazio alla moda (mise da red carpet a parte, al Lido erano passati nelle scorse edizioni «Veruschka», «Il Diavolo veste Prada» e «Valentino: The last Emperor»), ma questa volta è per uno degli stilisti più celebrati, alla sua prima prova come regista. Se per le modelle è normale farsi tentare dalla carriera da attrice, questo salto è ben più ardito. E Ford sarà in competizione nel concorso principale con «A single man», tratto dall'omonimo romanzo di Christopher Isherwood. Una storia potenzialmente attualissima, quella di un professore che perde il compagno e si ritrova a inventarsi una vita da solo, scritta nel 1964.
Anche dall'Italia, però, arriva un debuttante direttamente a Venezia 66. Giuseppe Capotondi è un italiano da esportazione: ora vive a Barcellona, ma ha lavorato per molti anni a Londra come fotografo e regista di spot (premiati all'Eurobest, al New York Film festival e dall'Art directors club of Europe) e videoclip (per Natalie Imbruglia, Spice Girls e Skunk Anansie, ma anche per Mietta, Ligabue e Zucchero). Il film? "Horror dell'anima": forse non proprio da cinema italiano dei giorni nostri. Menomale.
Viene dal Centro sperimentale di cinematografia un altro esordiente con un lungometraggio, «Dieci inverni», nella sezione Controcampo italiano, Valerio Mieli. «Sono sette anni che vado a Venezia da spettatore che dorme in campeggio – scherza Valerio – quest'anno avrò un accredito migliore per vedere più film... e magari riuscirò anche a fare il bagno al Lido!».
Per lui, un'avventura quasi a sorpresa. «Nella vita facevo tutt'altro: ero alle prese con un dottorato in filosofia e pensavo ormai di fare la carriera universitaria. Quando mi sono accorto che non riuscivo a trovare nella filosofia quello che cercavo, sono tornato alla passione dei sedici anni, a qualcosa che mi dava gioia e ho fatto la domanda per il Centro sperimentale».
Preso: grazie a una finta pubblicità per vacanze sulla Terra per marziani ambientata negli anni 50, piaciuta molto a Paolo Virzì. «Vieni, sei te, il filosofo dei marziani? Mi ha detto con il suo accento toscano: era contento che ci fosse qualcuno che arrivava alle selezioni venendo da un mondo diverso. Non ho fatto il Dams, non ho avuto una formazione "di cinema": forse anche per questo non mi ispiro ad altri». Il corso, l'anno scorso il diploma e poi il film coprodotto proprio dal Csc insieme a una casa di produzione russa. «Non mi aspettavo di fare un film così presto e soprattutto di arrivare a Venezia. Ho recuperato il tempo perso iniziando tardi».
Classe 1978 Valerio Mieli, un anno più giovane Toni D'Angelo, anche lui in Controcampo italiano. Nessuno fa cinema a casa Mieli («i miei genitori già non digerivano che io facessi filosofia, figuriamoci il regista, la mia famiglia cinematografica è stata il Centro: menomale che adesso sono contenti»), di cinema ne ha fatto tanto papà D'Angelo, il celeberrimo Nino. «Mi darebbe fastidio se qualcuno mi desse del raccomandato – spiega Toni – ma sono davvero orgoglioso che il suo nome venga accostato al mio. L'ho impiegato come attore protagonista nel mio primo film e lo userei mille altre volte: credo che sia un attore troppo poco considerato dai grandi registi e uno dei personaggi più importanti di questo periodo storico.
Il cinema italiano ha ancora un po' di pregiudizi nei suoi confronti? Forse, dopotutto, sì». Il suo primo film, «Una notte», è passato al Festival di Roma. Il secondo, «Poeti», arriva alla Biennale. «Per me Venezia è il vero festival, anch'io ero uno di quei ragazzi lì col bigliettino in fila a vedere i film degli altri. Un po', lo ammetto, mi spaventa, perché sono timido, insicuro». Toni è anche coproduttore, insieme a Donatella Palermo. «Inizio le cose per me, per curiosità, per capirci di più. Anche questa volta sono partito da solo e non sapevo come sarebbe finita». È finita che «Poeti», nato dall'incontro casuale coi reading di poesia a Roma, è diventato un documentario.
«Una notte mi trovavo in un pub con un amico, che poi è diventato uno dei due protagonisti del film. Si è alzato un personaggio dietro di noi e ha cominciato a leggere una poesia a voce alta. Uno per volta si sono aggiunti tutti gli altri ed è diventato una specie di reading. Ho scoperto in tanti la voglia di non avere vergogna di dirsi poeti e ho cercato di andare a scovare dove si nasconde la poesia, tra le vie e le piazze di Roma». Nella sezione, competitiva, sfiderà altri documentari come «Negli occhi» di Francesco Del Grosso e Daniele Anzellotti (dedicato a Vittorio Mezzogiorno, coprodotto da Giovanna Mezzogiorno) e «Hollywood sul Tevere», del giornalista Marco Spagnoli, questa volta dall'altra parte della barricata.
Un'assoluta novità, infine, un cortometraggio nella sezione Giornate degli autori. «È una sezione attenta alla sperimentazione – racconta la regista, Elisabetta Pandimiglio – ma i corti non erano previsti». L'opera di Elisabetta, «Mille giorni di Vito», mette in scena il tema, delicatissimo, dei figli piccoli delle detenute, che quando compiono tre anni devono uscire dal carcere e affrontare una libertà che non conoscono, lontani dalle madri. Una situazione ricostruita con un bimbo che non ha vissuto quell'esperienza, ma che ha fatto da attore inconsapevole, con un meccanismo di simulata psicologia, seguito attraverso un percorso a ostacoli. «Sono felice di portare per la prima volta un'opera a Venezia.
  CONTINUA ...»

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